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I prodotti tipici
Trota mediterranea
La trota mediterranea è la specie autoctona dei corsi d’acqua dell’Italia centrale, compresi i torrenti montani delle Marche. Un tempo ampiamente diffusa, oggi risulta fortemente ridotta a causa dell’introduzione della trota atlantica (Salmo trutta), immessa a fini di pesca sportiva e spesso confusa con la specie nativa, la cui identificazione certa richiede analisi genetiche. Si tratta di una specie di medie dimensioni, che può raggiungere i 50 cm di lunghezza. Vive in acque limpide, fresche e ben ossigenate, con fondali ghiaiosi e corrente moderata, caratteristiche tipiche dei torrenti d’alta quota. Si nutre principalmente di invertebrati e si riproduce alla fine dell’inverno. Pur essendo relativamente tollerante, riesce a sopravvivere anche in condizioni non ottimali, come quelle presenti nei piccoli ruscelli. Il progetto Life Streams, finanziato dalla Comunità Europea, è finalizzato alla conservazione della trota mediterranea nei principali bacini idrografici dell’Appennino centrale (Metauro, Cesano, Esino, Potenza, Chienti, Tevere e Tenna). Le attività hanno incluso analisi ambientali, campionamenti ittici, campagne di sensibilizzazione, oltre alla reintroduzione e al ripopolamento con esemplari autoctoni. Tra le aree dei Sibillini interessate dal progetto rientra anche quella del Monte Bove; situato nella parte centrale della catena, ospita le sorgenti del torrente Ussita, affluente del Nera. Nonostante le captazioni a uso domestico e idroelettrico, la qualità dell’acqua resta buona. In queste acque la trota mediterranea è ancora presente. Questi ambienti sono oggi fondamentali per la tutela di una specie che racconta la storia naturale dei corsi d’acqua appenninici e il valore della biodiversità autoctona.

Trota
Tartufi
Il tartufo è uno dei prodotti più pregiati del sottobosco e rappresenta un elemento distintivo della gastronomia marchigiana e dell'Appennino centrale. Si tratta di un fungo ipogeo, ovvero che cresce sotto terra, in simbiosi con le radici di piante come querce, salici, pioppi e castagni. A renderlo così speciale non è solo il profumo intenso e inconfondibile, ma anche il suo legame profondo con l’ambiente in cui nasce. La parte visibile e commestibile – il corpo fruttifero – è solo una piccola parte del fungo: il vero organismo è il micelio, una rete sotterranea di filamenti che si estende anche per centinaia di metri, alla ricerca di nutrienti e simbiosi con piante e perfino alcune specie di orchidee. I cercatori di tartufi, infatti, riconoscono nel bosco determinati fiori che fungono da "spie" per localizzare la presenza del tubero. Tra le specie più note si trovano il tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum pico), il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum), lo scorzone estivo (Tuber aestivum) e lo scorzone invernale (Tuber uncinatum). Esistono però molte altre varietà, alcune commestibili ma di minor valore, altre non adatte al consumo. La raccolta del tartufo richiede competenza e rispetto per l’ambiente: è regolamentata da un patentino rilasciato dalle autorità competenti, proprio per evitare danni ecologici. La pratica della "cerca e cavatura" del tartufo è oggi riconosciuta dall'UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità, testimoniando la sua importanza storica e culturale. Non è raro trovare nei menù dei ristoranti locali piatti a base di tartufo, come le classiche tagliatelle, che permettono di assaporare tutto l'aroma di questo autentico tesoro della terra.

Tartufi
Pecora sopravissana
L’allevamento ovino ha una storia millenaria nell’Appennino centrale, con origini che risalgono all’antica Repubblica romana e proseguono nell’Impero, quando questa pratica costituiva un pilastro dell’economia agricola del tempo. Nelle aree che oggi corrispondono alle province marchigiane di Macerata, Fermo, Ascoli Piceno e a quelle abruzzesi di Teramo e Pescara, si stima la presenza di milioni di capi ovini, un numero impressionante che contribuì allo sviluppo di razze locali adattate all’ambiente montano. Tra queste, la razza Vissana si è affermata come una delle più rappresentative. Tenace e resistente, è particolarmente adatta al clima rigido dell’Appennino e viene allevata per una produzione mista: latte, carne e lana. La Vissana rappresenta un perfetto esempio di selezione naturale e culturale, legata profondamente ai ritmi e ai saperi della pastorizia tradizionale. Nel XVII secolo, durante il papato di Benedetto XV, alcuni arieti della razza francese Rambouillet vennero donati alla curia cardinalizia e inviati al pascolo sui monti dell’area, tra cui il Monte Bove. Qui, incrociandosi con le Vissane locali, diedero origine a una nuova razza: la Sopravissana. Frutto di questo innesto genetico, la Sopravissana mantiene molte delle caratteristiche della Vissana, ma presenta una maggiore fertilità, una lana più fine e abbondante (simile a quella delle razze merinos) e una discreta resa in carne. Oggi entrambe le razze sono ancora presenti in comuni come Arquata del Tronto, Bolognola, Castelsantangelo sul Nera, Ussita e in altre località dell’Appennino. La loro presenza testimonia la continuità di un patrimonio zootecnico che ha saputo evolversi nel rispetto dell’ambiente e delle tradizioni locali.

Pecora